L'architettura può contribuire a rendere la vita un po' più felice.
Questo è uno dei pochi aspetti della professione che più mi appaga.
Nel dire questo, non devo niente a nessuno, se non forse una spiegazione.
Mi rendo perfettamente conto che in un mondo di barbarie come quello in cui viviamo, dove l’importante è sopravvivere, l’architettura risulta superflua, forse però non lo è, come non lo è la ricerca della felicità.
Inizierò con il dire che cosa non è architettura.
L’architettura non è un oggetto di design, anzi non è un oggetto e basta. L’oggetto ha sempre a che fare con l’uso, o quasi sempre, e molto spesso con il possesso.
L’architettura è lo spazio che appartiene a chi quello spazio lo vive, anche per poco tempo, anche in modo collettivo e la maggior parte degli spazi sono pensati per ospitare.
L’architettura non è arte, forse è meglio specificare: non si intende dire che l’architettura non sia un’arte, tutt’altro, è una delle arti più complicate. Non è arte nel senso che considerarla esclusivamente come un’espressione artistica è limitante e non porta molto spesso alla felicità di chi vivrà quelle architetture.
“l’architettura ci chiede di immaginare che spesso la felicità potrebbe avere un carattere non vistoso e non eroico, che potrebbe nascondersi tra le assi di un pavimento nella luce mattutina che inonda l’intonaco di un muro…..”Alain de Botton – Architettura e felicità
“Seduto sull’altalena sotto i meli del giardino, lascio che i piedi nudi sfiorino l’erba del prato. Sera d’agosto, la sauna si sta scaldando. Tra poco scenderanno dall’auto, e andremo insieme a goderci i vapori. Ma prima darò da mangiare a chi mi ha tutto donato. Là, in cima a quella betulla, canta un uccello, chissà quale. Per tutto il giorno non ho sentito altro che urla e strepiti, e i battiti disordinati del mio cuore, e adesso non riesco più a riconoscere la voce che si fa sentire da lassù. Una raffica di vento agita la betulla e si porta via l’uccellino. Alzo lo sguardo al cielo, stacco i piedi da terra, e l’altalena mi culla in un leggero dondolio. Mi gira la testa. La fatica del giorno mi ha esaurito l’ossigeno del cervello, tanto che quando mi fermo ho la sensazione che l’erba continui a ondeggiare, ancora per un po’.” Kari Hotakainen– via della trincea.
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