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  • Immagine del redattorePaolo Carlesso

Supermercati come funghi.


Prima di tutto occorre definire che cosa esattamente significa “consumo di suolo”; per consumo di suolo si intende la copertura fisica o biologica del suolo originariamente agricolo, boschivo o forestale o occupato da zone umide con una copertura artificiale che lo rende impermeabile totalmente o parzialmente e ne determina la perdita come risorsa naturale o agricola in maniera permanente o temporanea (è sempre possibile il recupero, ma generalmente con grande dispendio di energie, soldi ed in genere anche molto tempo).

La direttiva europea 2007/2/CE per la prima volta individua il consumo di suolo come problema e concausa di forti ripercussioni su ambiente e clima, per questo motivo si istituisce un sistema di monitoraggio.

L’ultimo rapporto (2021) dell’ISPRA (istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in merito al consumo di suolo riporta una situazione drammatica soprattutto in Lombardia, che, inutile dirlo, ha la percentuale più alta di suolo consumato tra le regioni italiane: il 12.12% del suo territorio è antropizzato.

Se analizziamo questa fotografia nel dettaglio, per ciò che riguarda la nostra provincia la situazione è, se possibile, ancora peggiore. Dopo Monza e Milano, Varese è la provincia lombarda con la più alta percentuale di suolo consumato: il 25,15%.

Ci sono poi le analisi per singoli comuni ed in provincia ci sono 5 comuni che riportano una percentuale di consumo di suolo superiore al 50% : Saronno 57.90%, Gallarate 53.97%, Olgiate Olona 53.74%, Ferno 52.18%, Solbiate Arno 51,01%, seguiti subito a ruota dai comuni di Busto Arsizio 49,62%, Castellanza 49.66%, Cavaria con Premezzo 46.61%, Cassano Magnago 44.96%, Cardano al Campo 42.46%, Fagnano Olona 42.70%). Un ultimo dato, al solo fine di riuscire meglio a comparare le percentuali riportate: Milano ha una percentuale di copertura di suolo pari a 58.31%. Il territorio forestale e agricolo del sud della provincia di Varese è fortemente compromesso e se si riportano i dati su una carta geografica si riesce anche a comprenderne le ragioni, che sono puramente economiche e legate storicamente all’asse della Varesina, del Sempione e dell’Olona.

Si parla di riduzione di consumo di suolo e di consumo di suolo 0 nella progettazione urbanistica dalla Legge regionale 12/2005, ciò nonostante sembra che ad oggi i risultati non siano quelli che ci si sarebbe aspettati: dal 2006 la provincia di Varese ha visto un incremento del consumo di suolo del 5% passando dal 20% al 25%, questo incremento è notevole se pensiamo che è stato registrato in soli 15 anni, nei quali la situazione economica è stata ristagnante, con un saldo demografico pari a 0.

Una prima constatazione da farsi è questa: il consumo di suolo è progredito costantemente, assumendo aspetti differenti, soprattutto negli ultimi anni. In qualche modo le ragioni di questa costante speculazione si sono modificate restando comunque dissociate dalle reali necessità. Inizialmente la spinta immobiliare era sostenuta dal desiderio generalizzato di migliorare la propria condizione abitativa, alla luce dello stato attuale non credo che tale desiderio sia stato esaudito, anzi il vivere in un enorme sprawl urbano (città diffusa) ha abbassato la qualità della vita, rispetto a quella che si aveva nei nostri centri cittadini.

Oggi comunque sembra che l’interesse speculativo, dopo le varie bolle immobiliari, si sia spostato verso la logistica e il commerciale, con ogni probabilità meno impegnativi dal punto di vista costruttivo e forse più redditizi. Il sistema bancario ha avuto da sempre un ruolo determinante, nello sviluppo di questo sistema, a mio giudizio in senso negativo, ovvero ha sostenuto e spinto la speculazione, prima nel settore residenziale, oggi in quello della logistica e del commerciale.

E’ opportuno chiedersi se vi è una reale necessità di tutti questi nuovi spazi. Ancora una volta se la risposta deve essere data in base all’analisi dei dati (incremento demografico pari a zero, economia asfittica, e l’enorme ripercussione che tali scelte hanno su ambiente e clima), l’unica risposta possibile è: no, non c’è alcuna necessità di un ulteriore consumo di suolo, anzi, una scelta in tal senso, sembrerebbe anche assurda dal punto di vista economico, ma certo solo in termini generali. Come sappiamo, il mercato non ha una logica generale, l’idea di un progresso anche economico generalizzato è ormai desueta, da secoli. L’economia si basa più che altro su guadagni e perdite, con tempi sempre più rapidi: dove c’è qualcuno che guadagna c’è qualcun altro che invece ci perde.

Credo proprio che sia così dato che i nuovi interventi che consumano suolo quasi mai portano a compensazione un eguale spazio riacquisito a verde (che sia esso foresta, parco o agricolo), questo vuol dire che il costo (difficile da quantificare) del danno ambientale e climatico va a pesare sulla comunità e non su chi sottrae suolo.

In genere gli enti locali che accordano il consumo del proprio territorio in cambio chiedono opere pubbliche e molto spesso sono costruzioni ex novo, in questo modo il consumo viene addirittura moltiplicato esponenzialmente in una costante spirale crescente.

Come sempre poi vi è un fine vita degli edifici, e questo fine vita avviene a mio modo più velocemente per gli edifici degli ultimi 50 anni, ciò è legato a molteplici ragioni, ma la principale è che tali edifici non sono stati costruiti prima di tutto per dare benessere a chi li utilizza, ma per creare reddito, adottando quindi le scelte migliori per il costruttore o il finanziatore, che non necessariamente coincidono con l’interesse di chi quegli spazi poi li usa.

Molto spesso anche il costo della demolizione, dello smaltimento dei materiali e del ripristino dell’area a verde completamente o in parte viene a pesare sulla comunità.

Vi è la necessità di pensare ad un mondo nuovo, per anni nel nostro Paese si è creduto nell’urbanistica dello “zoning” ovvero nell’individuare delle aree omogene dove dislocare le attività umane; tale logica ha mostrato tutti i suoi limiti, ma ora si è ceduto il passo ad una logica se possibile ancor più pericolosa: quella delle opportunità di mercato per l’operatore e per le amministrazioni: occorre fare una distinzione tra l’interesse degli amministratori e quello della comunità, dato che molto spesso l’interesse degli amministratori è quello di promuovere se stessi mostrando delle opere, le quali spesso non sono nemmeno utili alla comunità, certamente però risultano mediaticamente più visibili rispetto alla difesa ambientale.

Occorre forse ritornare a riflette sulla forma urbana; la forma storica delle nostre città, a saperla leggere, ci parla della nostra società, della nostra cultura, della nostra storia. Invece la forma della città moderna ci parla spesso solo di opportunità di mercato, di normative urbanistiche e di una mancanza di partecipazione pubblica per scelte urbanistiche. Occorre che l’intera società ritorni ad interessarsi della progettazione della città.

Vorrei concludere con delle citazioni di Andrea Zanzotto: “E’ necessario che riappaia un senso della presenza umana nel quadro naturale.” L’insediamento umano non può essere visto solo come “insediamento piaga”, è possibile una via in cui l’insediamento umano può essere “insediamento – fioritura”, a mio modo di vedere per intraprendere questa via occorre necessariamente farsi carico di tutti i problemi ambientali.

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